UN FILM PERICOLOSO COME IL FUTURO CHE CI ASPETTA. Scritto da Claudia Fornari. Diretto da Giovanni Caporioni. L'ammucchiata dei partiti ha abolito la democrazia. In senso tecnico è l’era della dittatura del Sorriso. Il serio Leader domina italiani costretti a gioire perché "la crescita è dentro di noi". Un pubblico ufficiale, l’Identificatore, pattuglia la città per raccogliere denunce e consegnare i criminosi "pagliacci" alla giustizia. Il sole di Roma lo fa sudare, o forse è il rimorso?
domenica 1 luglio 2012
Recensione del romanzo "L'abbraccio dello Yeti" di Claudia Fornari, sceneggiatrice del film
UN CAMMINO DI ESPIAZIONE di Giuseppe Lupo.
Se ci chiediamo quanto sia valida l’ipotesi che nelle nostre società ipertecnologizzate e opulente il rischio di una paralisi o di un’apocalisse sia sempre a portata di mano, il romanzo di esordio di Claudia Fornari, tecnicamente costruito mediante un indovinato gioco di situazioni ad incastro, ce lo ricorda con esemplare chiarezza.
Nella narrazione, che parte da un serrato dialogo a distanza tra un commesso di negozio di camicie e le clienti del negozio di fronte (luoghi dove simbolicamente si esalta il consumismo dei vestiti e del sesso), si indovina una certa attesa per un ‘qualcosa’ che verrà: l’avvento di una catastrofe annunciata di volta in volta e con enigmatica precisione nelle numerose conversazioni telefoniche o nella sfrenata corsa a rifornirsi di generi alimentari.
Tuttavia la catastrofe non è percepibile a occhio nudo. Ci vorrà un cammino di espiazione (il commesso che abbandona i panni del seduttore e incontra una dottoressa impegnata nel volontariato) prima che il lettore realizzi l’entità e i risvolti di questa attesa ‘escatologica’, realizzatasi un uno Yeti che nessuno riesce a guardare e che solo ai due protagonisti (il commesso e la dottoressa) regala un attimo di felicità.
Sotto l’apparente dimensione di favola surreale, il romanzo rimanda ad altro. Vi è sotteso, per esempio, il grido lacerante che la nostra umanità opulenta, in un anonimo fine-settimana – uno dei tanti che si inanellano, con estenuante regolarità e noia -, lancia a se stessa. Un grido di dolore per le sorti di un mondo che non comunica più se non attraverso i mille oggetti attraverso cui avvengono i rapporti, ma che altro non sono se non il surrogato di una civiltà conviviale ormai ridotta in frantumi. In una dimensione dove tutto è mercificato (le camicie da uomo, come la biancheria intima del negozio di fronte a quello di Alessio o come le clienti preda delle insaziabili voluttà dello stesso Alessio), si scopre un’umanità in preda al terrore per qualcosa che si sta abbattendo.
La città degli affari e del denaro (la moderna Babilonia) perde la sua sicurezza e rivela il volto debole della sua vulnerabilità. Si potrebbe pensare alla New York dell’11 settembre o, per rimanere in ambito letterario a quel ricco filone anglosassone che annovera al suo interno i libri di Aldous Huxley, George Orwell e Ray Bradbury e che nel panorama italiano del secondo Novecento trova conferma ne Il mondo nudo di Raffaele Crovi (1975). La dimensione della catastrofe, nel racconto di Claudia Fornari, rimane volutamente circoscritta entro un alone vago.
Non se ne conoscono gli effetti. Si intuisce, però, la proposta affidata ai pensieri del commesso: “Pensò che soltanto l’amore faceva accadere le cose.”
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